RELIGIONE: Le religioni migranti possono avere un doppio effetto

ROMA, 13 settembre 2007 (IPS) – I migranti portano quasi sempre con sé anche la loro religione, una scelta che a volte è causa di scontri o incomprensioni con la popolazione del paese ospitante, ha spiegato all'IPS Peter Schatzer, Direttore dell’Ufficio regionale per il Mediterraneo e Capo Missione in Italia dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM). Per questo, la religione è un tema così delicato per i circa 95 milioni di migranti nel mondo.

In collaborazione con l’Organizzazione islamica per l’educazione, la scienza e la cultura (ISESCO), con sede a Rabat, Marocco, l’OIM ha organizzato una due giorni sul ruolo delle donne migranti nella promozione delle identità multiculturali (5-6 settembre), che ha portato a Roma politici, esperti e delegati di associazioni internazionali, le loro competenze ma anche le loro personali esperienze di migranti.

IPS: I paesi ospitanti sono spesso inclini a rispondere alle pressioni interculturali riaffermando le proprie identità e tradizioni. In Europa, le “radici cristiane” sono entrate di recente anche nel dibattito sulla riforma istituzionale dell’Unione. Perché?

Peter Schatzer (PS): Quando l’identità è minacciata, la gente cerca qualcosa a cui aggrapparsi. Nel caso di alcuni europei, questo qualcosa è il passato giudaico-cristiano del continente, che serve per lo più a sentirsi uniti di fronte a ciò che viene percepito come una minaccia.

Ed è qui che sorge il problema, perché è giusto cercare di definire se stessi, e la cultura, le tradizioni, la religione dei propri antenati; ma ciò che è interessante adesso è che la cristianità in Europa non è più un argomento valido. Le chiese sono vuote, o frequentate soprattutto da persone anziane, molte di esse – pur continuando a identificarsi con il proprio background religioso – non sono praticanti.

Questo spiega anche ciò che accade alle persone che arrivano qui come migranti; si sentono sotto pressione, e affermano la propria identità attraverso lla religione, ma in realtà ciò che stanno difendendo sono le loro tradizioni. Molto di ciò che accade oggi in nome della religione non è scritto nella Bibbia, né nel Corano, né nella Torah, ma si basa piuttosto sulle tradizioni sviluppate nei secoli.

IPS: L’Italia sta attraversando un’ondata di intolleranza, dovuta ai recenti crimini commessi da alcuni migranti irregolari, e ampiamente riportati dai media. Le amministrazioni locali e le istituzioni rispondono alle preoccupazioni dei cittadini adottando politiche più rigide confronti dei migranti irregolari, spesso in modo indiscriminato. Come isolare questi episodi senza interrompere il dialogo?

PS: L’Italia punisce senza punire, e protegge senza davvero proteggere. C’è una specie di schizofrenia nell’approccio dell’Italia verso i migranti: da una parte è un atteggiamento compassionevole, ma poi, quando i media riportano una qualche azione criminale commessa dagli immigrati, le azioni di polizia sono spesso troppo dure.

Sarebbe meglio trovare il giusto equilibrio tra il rispetto della legge e un approccio umanitario che riesca davvero ad aiutare le persone che ne hanno bisogno.

Poi, bisogna usare tutti i mezzi che abbiamo a disposizione per capire, prima di tutto, quali sono i veri problemi, e perché questi problemi esistono. Bisogna fare ricerca, lavorare a stretto contatto con i mediatori culturali, con persone che capiscano le diverse implicazioni di un problema, e poi bisogna dialogare e coordinare il dialogo tra le persone coinvolte: chi ha pura di chi è diverso. Questo è ciò che chiamiamo xenofobia – fobia in greco significa… proprio paura – ed è più che ogni altra cosa una malattia, per questo deve essere trattata come le altre malattie, ricercandone la radice.

IPS: Lei suggerisce un approccio scientifico al problema, mentre la reazione più comune in questi casi è emotiva più che razionale…

PS: In effetti, questo fa parte del problema. Lo stiamo vedendo anche in questi giorni, con alcuni dei crimini che vengono commessi. Ma è anche comprensibile, perché, come dicevo, questa (reazione) è basata su motivazioni irrazionali, si basa sulla paura, e non puoi imporre alla gente di non avere paura; devi guidarla e aiutarla e non avere paura. Devi spiegare in modo razionale cosa sta succedendo davvero.

IPS: Per tornare alla religione, qual è il suo impatto sul processo di integrazione dei migranti, e delle donne migranti in particolare? In qualche modo lo limita, o lo rallenta?

PS: Anche in questo caso bisogna distinguere tra religione e tradizione. Molto dipende dal tipo di religione che si pratica, e da ciò che le tradizioni di una società consentono a una donna di fare. Talvolta possono esserci degli scontri, quando le tradizioni del paese d’origine hanno un orientamento completamente diverso da quelle del paese ospitante.

Ma ancora una volta, bisogna guardare alle cause del problema, e ascoltare ciò che gli esperti di religione hanno da dire su questo tema; vedere fino a che punto una società intende concedere la libertà d’espressione, che va dal portare una croce ad indossare il velo, o rappresentare in modo caricaturale altre religioni; e anche qui ci sono dei limiti a ciò che una società è in grado di accettare. Ogni paese deve decidere fino a che punto vuole arrivare, ma deve farlo attraverso il dialogo con tutte le persone interessate, e non imporlo.

IPS: L’integrazione che i paesi ospitanti hanno in mente non è piuttosto una specie di assimilazione?

PS: Non possiamo generalizzare. In alcuni paesi tutti devono seguire la cultura dominante, soprattutto se questa è la politica ufficiale, ma ce ne sono altri che accettano maggiormente la diversità culturale. Ogni paese sta cercando di risolvere questo punto da sé, e l’Europa dovrebbe… capire quali funzionano, e quali no.

Ma non può ignorare che anche i paesi dove si pensa che gli immigranti debbano adattarsi alla cultura locale cambiano con l’immigrazione, anche solo per la presenza di persone con un diverso background. Ciò che dobbiamo fare è attuare questo processo di adeguamento da entrambe le parti, se possibile, e aiutare gli individui coinvolti a renderlo il meno doloroso possibile. Alla fine, tutti condividono alcuni valori comuni di base, quelli che tengono insieme una società.

IPS: Se dovesse citare un modello europeo con politiche di immigrazione e integrazione di successo?

PS: Direi il Portogallo, che apre le sue porte ai migranti, che poi però devono rispettare le regole. Il Portogallo ha anche un sistema di integrazione molto interessante e positivo; a Lisbona, per esempio, c’è un posto dove tutti gli immigrati – anche se privi di documenti – possono andare e ricevere assistenza per i documenti, la salute, e il lavoro. È un approccio molto ospitale, forse anche per la sua recente esperienza di migrazione.