AMBIENTE-INDIA: A vent’anni dalla tragedia di Bhopal, non ancora iniziata la bonifica dai gas

NEW DELHI, 11 settembre 2007 (IPS) – Oltre vent’anni dopo il più grave disastro industriale nella storia, avvenuto in un impianto chimico di proprietà di una multinazionale Usa a Bhopal, nell’India centrale, si continuano ad eludere le responsabilità per la bonifica di migliaia di tonnellate di prodotti chimici tossici che hanno contaminato il suolo e l’acqua dell'intera area.

La multinazionale statunitense Dow Chemical ha proposto di assumersi parte dei costi per la bonifica del sito dell’impianto da cui, nel dicembre 1984, sono fuoriusciti gas letali a base di cianuro, che si sono dispersi nell’aria provocando 4.000 morti immediate. La Dow vorrebbe essere liberata dalle responsabilità legali ereditate dalla Union Carbide Corp., che ha acquisito nel 2001.

Per legge, la Dow ne ha rilevato attivi e passivi, beni e responsabilità. Ma l’impresa ha fatto molte pressioni, sia direttamente sia attraverso il governo Usa, per influenzare gli alti funzionari del governo indiano e ottenere un giudizio in suo favore. Se avrà successo, la Dow potrà evadere le sue responsabilità di ripulire il disastro provocato dalla Carbide, che comprende più di 9.000 tonnellate di prodotti chimici tossici che hanno contaminato il suolo e l’acqua e colpito oltre 25.000 persone che vivono nella zona. La Dow ha lanciato l’amo, promettendo potenziali investimenti su vasta scala in India se riuscirà ad averla vinta sulla questione delle responsabilità.

L’ultima offerta di Dow è seguita a numerose dichiarazioni in suo favore presentate da potenti funzionari indiani nella Commissione pianificazione, dal ministro delle finanze P. Chidambaram e del commercio, Kamal Nath, come anche dal Consiglio aziendale Usa-India, composto dai massimi imprenditori di entrambi i paesi.

Oltre alla letale fuoriuscita di isocianato di metile e di altri gas tossici, che gli attivisti ritengono abbiano ucciso almeno 8.000 persone solo nella prima settimana, ci sono stati enormi danni chimici che hanno colpito più di 200.000 persone. Questi potrebbero aver provocato altri 15.000 morti, oltre a stati di invalidità e forti disagi tra i sopravvissuti, come gravissimi danni ai polmoni e altri organi.

La Carbide riuscì a sfuggire alle responsabilità civili per i difetti nella progettazione dell’impianto e le gravi negligenze che portarono all’incidente, sborsando la somma irrisoria di 470 milioni di dollari Usa, grazie a ciò che fu ritenuto un accordo collusivo e disonesto, firmato nel 1989. Ma le sue responsabilità legali restano.

Sia la Union Carbide che i suoi dirigenti hanno però rifiutato di farsi processare da una corte criminale di Bhopal e sono stati dichiarati latitanti. La Dow ha di fatto dato rifugio a un latitante secondo la legge indiana e venduto i prodotti, le tecnologie e i servizi della Carbide in India.

“La proposta della Dow pone il governo indiano di fronte a una scelta difficile”, osserva Satinath Sarangi, del Bhopal Group for Information and Action (BGIA), che nel 1990 fu il primo a scoprire e a stabilire la contaminazione tossica del suolo e della falda freatica. “Può collaborare, e concludere un accordo mercenario con la multinazionale; oppure schierarsi con le vittime, rimaste colpite dai gas chimici prodotti dalle scorie industriali, alcuni dei quali hanno causato difetti di nascita, tumori e danni a polmoni, reni e fegato”.

Il governo indiano è molto diviso sulla questione. Il ministro dei prodotti chimici e fertilizzanti ha giudicato la Dow legalmente responsabile della bonifica del sito delle scorie, e ha chiesto in tribunale che l’impresa paghi un miliardo di rupie (25 milioni di dollari) come risarcimento iniziale per i costi dei rimedi (la decontaminazione), in attesa di una decisione finale sul caso.

Ma il ministro della giustizia si è opposto, sostenendo che l’attribuzione delle responsabilità dipende dai termini della fusione, nel 2001, tra la Dow e la Carbide, i cui dettagli dovranno essere attentamente esaminati.

Secondo le organizzazioni delle vittime di Bhopal, la Carbide avrebbe dichiarato il falso, sostenendo di non avere nessuna responsabilità nel disastro della fuoriuscita dei gas. In realtà la Union Carbide, alcuni suoi dirigenti, tra cui l’ex presidente Warren Anderson, e la sua filiale indiana, sono stati accusati da un tribunale indiano di aver provocato le morti per un atto di negligenza.

La Dow afferma di non essere soggetta, essendo un’impresa Usa, alla giurisdizione delle Corti indiane. Le corti non hanno ancora emesso una sentenza sulle responsabilità della Dow, ma hanno solo chiesto che una parte delle scorie, circa 386 tonnellate messe al sicuro in un magazzino, vengano trasportate in una città nel Gujarat per essere incenerite.

Ma l’Alta Corte del Madhya Pradesh non si pronuncia sul destino delle 8.000 tonnellate di scorie chimiche che si trovano nel sottosuolo sul sito dello stabilimento, e neanche delle centinaia di tonnellate ancora sparse nell’intera area. Secondo le organizzazioni delle vittime, l’incenerimento sarebbe un metodo pericoloso e inadeguato di smaltire le scorie, e l’India non sarebbe in possesso delle tecnologie adatte per bonificarle.

Come metodo alternativo, esse citano l’esempio della Unilever Corp., alla quale nel 2003 l’Alta Corte del Madras aveva ordinato di portare negli Stati Uniti le 230 tonnellate di scorie di mercurio che aveva prodotto a Kodaikanal, nel Tamil Nadu, per decontaminarle.

Due anni fa, i gruppi delle vittime, tra cui il Bhopal Gas Peedit Mahila Stationery Karamchari Sangh, il Bhopal Gas Peedit Mahila Purush Sangarsh Morcha, insieme al BGIA, riuscirono a far annullare un contratto firmato tra la Dow Chemical e l’impresa pubblica Indianoil Corporation. Questo prevedeva la concessione di una tecnologia brevettata dalla Union Carbide, una filiale di proprietà al c100 per cento della Dow.

La Dow sta negoziando la vendita di tecnologie petrolchimiche con Reliance Industries Ltd,una delle maggiori imprese private indiane, che appartiene al gruppo Mukesh Ambani.

“Evidentemente, hanno mobilitato ogni genere di interesse comune per aiutare la Dow ad eludere le sue responsabilità e i suoi obblighi legali di bonifica del sito”, sostiene Nityanandan Jayaraman, della Campagna Internazionale Giustizia per Bhopal. “È davvero terrificante che il governo indiano si pieghi alle loro pressioni, e questo in un momento in cui grossi volumi di investimenti diretti esteri, che quest’anno superano i dieci miliardi di dollari, si stanno riversando nel paese”.

Jayaraman ha aggiunto che questo dimostra il totale servilismo del governo nei confronti degli Usa e dei giganti delle multinazionali: un fenomeno emerso chiaramente sin dal 1984. Ovviamente, gli alti tassi di crescita del PIL e le pretese dell’India di essere una superpotenza economica emergente non le hanno impedito di comportarsi come un paese del Quarto mondo, che mette gli investimenti aziendali al di sopra della vita e del benessere dei suoi cittadini”.

Se il governo indiano soccombe alle pressioni della Dow, dei potenti industriali indiani come Ratan Tata (che hanno fatto azione di lobby per conto della Dow), e di alcuni dei suoi stessi ministri favorevoli al neoliberismo, ciò non farà altro che aggiungere danni alla colossale beffa già subita dalle vittime, sostengono gli attivisti. Quasi tutte le vittime di Bhopal hanno ricevuto meno di 150 dollari per i gravi danni subiti e le lunghe sofferenze; e anche le famiglie dei morti hanno ricevuto appena 5.000 dollari. Sembra che gran parte dei risarcimenti sia finita nelle mani di funzionari, politici e intermediari corrotti.