DIRITTI: Il ‘commercio della tortura’ prospera tra le lacune delle normative

NAZIONI UNITE, 2 marzo 2007 (IPS) – Le torture dei prigionieri iracheni nella prigione di Abu Ghraib, appena fuori Baghdad, e le continue umiliazioni e abusi subiti dai sospettati di terrorismo nel centro di detenzione americano della baia di Guantanamo, sono state interpretate dagli attivisti dei diritti umani come violazioni della Convenzione Onu contro la tortura del 1987.

“Nessuna circostanza eccezionale, qualunque essa sia, che si tratti di stato di guerra o di minaccia di guerra, d’instabilità politica interna o di qualsiasi altro stato d’emergenza, può essere invocata per giustificare la tortura”, recita l’articolo 2 della Convenzione.

Ma secondo gli attivisti per i diritti umani, è altrettanto terribile esportare strumenti di tortura verso altri paesi, compresi quelli definiti tra i “regimi più repressivi” al mondo, dove i prigionieri e i sospettati di terrorismo subiscono regolarmente percosse o tortura.

Secondo Amnesty International (AI) con sede a Londra, l’Unione europea (Ue), composta da 27 paesi membri, è stato il primo organismo regionale al mondo a dotarsi di regole sul commercio degli strumenti usati per compiere torture e maltrattamenti.

Ma le nuove norme hanno fin troppi difetti, secondo Brian Wood, direttore della ricerca sul commercio di armi e materiale di sicurezza di AI; e se il problema delle scappatoie nella normativa non verrà affrontato, il commercio della tortura è destinato a continuare.

In uno studio pubblicato martedì scorso, AI sostiene che alcuni prodotti equivalenti a strumenti di tortura e di esecuzione, come il “bastone acuminato”, un bastone con tre chiodi di 7,5 centimetri, o la “corda da impiccagione” usata per eseguire condanne a morte in India, Sri Lanka e Trinidad e Tobago, non figurano nella “lista nera” dei prodotti vietati dal regolamento europeo.

Inoltre, aziende e singole persone europee sono ancora in grado di stipulare accordi al di fuori dell’Europa su prodotti facilmente utilizzabili per la tortura.

“La normativa non copre l’importazione o il commercio di tali prodotti tra Stati membri dell’Ue nei casi in cui vi siano prove documentate di torture e maltrattamenti”, prosegue lo studio.

Il rapporto menziona poi diversi altri prodotti – come le manette da muro utilizzate per aumentare lo stress dei prigionieri durante gli interrogatori nella baia di Guantanamo, o i manganelli elettrici usati contro le minoranze rom dalla polizia in Slovacchia e Bulgaria – che non sono vietati dalla normativa.

La legislazione europea sullo scambio di prodotti che potrebbero essere usati per la pena capitale, la tortura o altri trattamenti e pene crudeli, disumane e degradanti – entrata in vigore nel luglio 2006 -, viene definita “la prima normativa di questo tipo mai adottata nel mondo”.

E secondo la legge europea sui diritti umani, la tortura, il trattamento disumano e degradante sono assolutamente vietati, così come la pena capitale.

La lista di AI sugli “strumenti di tortura” comprende manette serrapollici, ceppi di ferro, bastoni chiodati o cinture elettriche: tutti strumenti di cui, secondo Amnesty, bisognerebbe immediatamente proibire l’uso o il commercio.

L’organizzazione internazionale osserva poi che le attrezzature per la pena di morte dovrebbero essere incluse nella stessa categoria e immediatamente proibite, ed ha espresso preoccupazione anche per altri strumenti della “sicurezza”, nei diversi dossier presentati su questo tema negli ultimi 10 anni, compreso questo ultimo rapporto. Alla domanda se l’esportazione di strumenti di tortura sia altrettanto deplorevole dell’esportazione di armi convenzionali verso paesi accusati di violazioni dei diritti umani e di tortura dei prigionieri, Wood ha spiegato all’IPS: “Entrambi sono impropri, quando attrezzature o armi vengono usate per gravi violazioni dei diritti umani”.

Ha poi aggiunto che è ovviamente improprio consegnare una qualsiasi attrezzatura militare, di sicurezza o di polizia, nelle mani di un qualsiasi destinatario che potrebbe utilizzarla per violare i diritti umani.

“E fondamentalmente, è contro il diritto internazionale che uno Stato autorizzi tali esportazioni, se sa che verranno utilizzate per violare i diritti umani, in particolare nel caso di violazioni gravi e continuate”.

Alla domanda su come gli Stati Uniti vedono la questione dell’esportazione degli strumenti di tortura, Woods commenta che i governi Usa hanno cercato di vietare l’esportazione di ciò che considerano “attrezzature per la tortura”, o attrezzature specificamente destinate alla tortura o a gravi maltrattamenti nel contesto di controllo dei crimini, comprese le “cinture di contenzione”.

Ha poi aggiunto che le normative sui prodotti proibiti sono di competenza dei Dipartimenti di Stato e del Commercio.

Amnesty International negli Usa ha promosso una campagna in tal senso: “C’è oggi una presunzione di rifiuto per l’emissione di qualsiasi licenza di esportazione di tali strumenti”, ha detto Wood. Ma le politiche utilizzate nella gestione delle normative Usa, ha sottolineato, sono inopportunamente permissive.

È consentito, ad esempio, esportare “manette per caviglie”, cinture elettriche e diversi tipi di dispositivi portatili che emettono scariche elettriche, e non ci sono divieti all’esportazione di attrezzature utilizzate per la pena di morte.

Lo studio di AI, “Unione europea: fermare il commercio in strumenti di tortura”, sottolinea che solo 12 dei 27 Paesi membri dell’Ue hanno redatto progetti di legge nazionali o applicato penali in conformità alla normativa.

I 12 paesi in questione sono: Austria, Danimarca, Grecia, Irlanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Slovenia, Svezia e Gran Bretagna.

Amnesty International è stata inoltre informata che nelle attuali penali nazionali della Finlandia rientrano le violazioni della normativa.