URUGUAY: In prima linea per gli obiettivi del millennio

MONTEVIDEO, 27 Giugno 2006 (IPS) – Parallelamente agli incontri e agli sforzi di governi e agenzie
internazionali per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del
millennio delle Nazioni Unite, anonimi eroi di diverse regioni dell’Uruguay
sono quotidianamente in prima linea nella lotta contro la povertà.

Non partecipano generalmente a seminari o conferenze, e spesso non hanno nessun appoggio ufficiale. Sono solo persone che fanno ciò che possono per far fronte ai problemi sociali, dedicando il loro tempo e le loro energie per trovare soluzioni che possano fare la differenza.

Ma per una volta, il ruolo delle comunità locali nel raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDGs) è stato messo in luce in un incontro internazionale su “Cooperazione e sviluppo in Uruguay: la sfida dello sviluppo locale”, organizzato dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) nella capitale uruguayana.

Gli MDGs, adottati dall’Assemblea generale dell’Onu nel 2000, puntano a dimezzare l’estrema povertà e la fame, raggiungere l’educazione universale primaria, promuovere la parità di genere e l’empowerment femminile, ridurre di tre quarti la mortalità materna e di due terzi quella infantile, e combattere Aids/Hiv, malaria e altre malattie. Il 2015 è la scadenza fissata per il raggiungimento degli obiettivi specifici, a partire dalla data di riferimento del 1990.

“Le comunità locali sono il luogo in cui le strategie per combattere la povertà si concretizzano, mediante l’azione concertata di diverse agenzie multilaterali e dei governi nazionali e municipali”, ha detto Pablo Mandeville, rappresentante nazionale dell’UNDP in Uruguay.

Una delle persone in prima linea nella lotta alla povertà è María Elena Curbelo, un medico che lavora come volontaria a Las Láminas, una baraccopoli alla periferia della città uruguayana settentrionale di Bella Unión.

Questo slum abitato da 180 famiglie, è da molti considerato l’apice della povertà, in questo paese di 3,3 milioni di persone che nel 2002 ha visto crollare la propria economia, dopo tre anni di recessione. Il colpo finale è arrivato con la crisi finanziaria della fine del 2001 che ha scosso la vicina Argentina, da cui l’Uruguay dipende per un terzo del suo commercio.

Grazie agli sforzi di Curbelo e di altre dodici persone che hanno lavorato con lei, a Las Láminas si è raggiunta una significativa riduzione della mortalità infantile, indipendentemente da ogni organizzazione locale o autorità ufficiale.

L’Uruguay, che ha tradizionalmente un forte stato sociale, si è allarmato quando, nel 2003, sono venute alla luce le condizioni di povertà estrema del quartiere di Bella Unión, a seguito dell’esplosione di un’epidemia di epatite. I media si sono improvvisamente interessati al flagello delle persone che vivono in questa periferia della città, situata a 615 chilometri a nord della capitale e a pochi passi dal confine brasiliano.

Allora, il tasso di mortalità infantile di Bella Unión era di 55 ogni 1000 nati vivi, rispetto al tasso nazionale di 15 ogni 1000. E il peso medio dei bambini in quel quartiere raggiunse quello dei bambini di alcuni paesi africani.

L’attenzione dei media sulla situazione della zona non suscitò nessuna particolare reazione del governo uruguayano dell’epoca, guidato dal conservatore Jorge Batlle (2000-2005), ma la società civile reagì con forza. La città fu presto sommersa di donazioni, provenienti da sindacati, scuole e famiglie sparse in tutto il paese.

La comunità di Las Láminas usò le donazioni per organizzare la consegna regolare di ceste di cibo, per un anno, nelle case dei bambini più denutriti. Grazie all’iniziativa, la mortalità infantile è scesa a 17 su 1000 nati vivi.

Il secondo degli otto Obiettivi del millennio punta ad “assicurare che tutti i ragazzi e ragazze completino l’intero ciclo dell’istruzione primaria”, ma in molte parti del Sud in via di sviluppo ciò è reso impossibile dagli alti tassi di povertà.

Il novanta per cento dei bambini di Las Láminas sono o sono stati denutriti; il 99 per cento soffre di anemia e più del 90 per cento abbandona la scuola.

“Il problema è che i bambini che sono denutriti prima dei due anni di età, subiscono danni irreversibili nella crescita e una deficienza nello sviluppo cerebrale, che non possono recuperare. Quando raggiungono i tre anni, è già troppo tardi. Anche se vanno a scuola, continueranno a fallire”, ha spiegato Curbelo all’IPS.

Per rispondere al problema, la comunità di Las Láminas ha aperto lo scorso gennaio un centro di soccorso per l’infanzia, che si occupa di 25 bambini in età prescolare nati prematuri o sottopeso fornendo loro fisioterapia, cibo e medicine.

Il centro è stato istituito grazie alle donazioni raccolte attraverso un programma televisivo locale. Le medicine sono state donate da un ospedale locale, e il lavoro di infermieri e dottori, tra cui Curbelo, è totalmente volontario.

Un altro MDG è volto a “ridurre di tre quarti il tasso di mortalità materna”.

La settimana scorsa, gli abitanti di Las Láminas hanno inaugurato una clinica, insieme al ministero della sanità, grazie ai fondi donati da uruguayani residenti all’estero. Sarà disponibile tra breve un servizio di ginecologia per le numerosissime ragazze madri del quartiere. Ed è prevista una serie di colloqui per fornire informazioni sulla prevenzione delle gravidanze indesiderate.

L’obiettivo numero 11 degli MDGs parla di “raggiungere un miglioramento sostanziale nella vita di almeno 100 milioni di abitanti delle baraccopoli, entro il 2020”.

A Las Láminas, ha detto Curbelo, gli alloggi e l’accesso ad acqua e elettricità sono ancora problemi gravi: “Il governo si è offerto di trasferire i residenti, ma loro vogliono continuare a vivere qui”.

Un totale di 153.000 uruguayani vive in 412 insediamenti irregolari, di cui 300 si trovano alla periferia di Montevideo, secondo gli ultimi dati dell’Istituto nazionale di statistica risalenti al 1998.

Ci sono poi altri esempi di sforzi individuali nella lotta contro la povertà del paese, come l’esperienza di autogestione della cooperativa che vive e lavora nella “Comunità del Sud”, fondata nel 1955.

Un gruppo di sei famiglie possiede collettivamente 17 ettari di terreno alla periferia di Montevideo; coltivano la terra e vendono le eccedenze, riservando i profitti per la stessa comunità.

Il problema degli alloggi lo hanno risolto da soli, grazie alla solidarietà reciproca, costruendo le loro case con legno, fango e paglia, ha spiegato all’IPS Rubén Prieto, un membro della comunità.

Il lavoro viene diviso tra i diversi componenti della cooperativa: alcuni si occupano di cucina e pulizie, altri della produzione agricola, altri ancora dell’educazione dei bambini in età prescolare e della formazione dei giovani nel lavoro dei campi.

Secondo Prieto, la maggiore sfida nella lotta contro la povertà è riuscire a cambiare la mentalità della gente.

“C’è bisogno di una trasformazione personale, per essere in grado di auto-sostenersi e di creare relazioni di solidarietà, in una società dove ci insegnano che ognuno deve battersi per i propri interessi. È necessaria una visione più cooperativa e una sensibilità speciale.”