SALUTE: Le casalinghe asiatiche a rischio Aids

KOBE, Giappone, 9 luglio 2005 (IPS) – Pheng Pharozin, 25 anni, cambogiana dalla voce delicata, era felicemente sposata e madre di una bambina quando – due anni fa – ha scoperto di essere sieropositiva.

”Non pensavo che potesse succedermi, perché avevo rapporti sessuali solo con mio marito”, ha spiegato Pharozin al VII Congresso Internazionale sull’Aids in Asia e Pacifico, conclusosi martedì dopo cinque giorni di dibattito.

Pharozin, membro del Cambodian People Living with HIV/AIDS Network (Rete dei cambogiani affetti da Hiv/Aids), organizzazione sostenuta dall’UNIFEM, è a Kobe per raccontare la sua storia e chiedere maggior aiuto per le donne che come lei hanno contratto il virus.

Membro dell’Asia Pacific Network (APN), gruppo regionale che aiuta e difende i sieropositivi, lei è qui per insistere sull’urgenza di una protezione per le donne asiatiche, considerate ad alto rischio di contagio, anche se si tratta di casalinghe o giovani sposate con uomini che a stento conoscono.

”Quando ho scoperto di essere stata contagiata da mio marito – che in seguito è morto di Aids – ero sconvolta”, ha dichiarato Pharozin, che ha trovato conforto solo nell’aiuto dell’APN.

Al congresso regionale, è stata sottolineata la crescente femminilizzazione dell’Aids nella regione asiatica del Pacifico ed è stato diffuso un recente rapporto della UNAIDS secondo il quale il numero di donne che vivono con l’Hiv nella regione è cresciuto del 20 per cento dal 2002, arrivando a circa 2,3 milioni. Il rapporto rivela inoltre che nel 2004 l’Aids ha portato via quasi 540.000 vite.

In Cambogia, per esempio, negli ultimi anni il numero delle donne sieropositive ha superato poco per volta quello degli uomini; nel 2004, le donne erano 67.500 e gli uomini 65.000.

Mentre prima la maggioranza delle donne contagiate lavoravano nella prostituzione, le statistiche nazionali indicano che quest’anno il 45 per cento delle nuove infezioni tra le donne riguarda mogli che hanno contratto il virus dal proprio coniuge.

Medici e attivisti hanno denunciato la necessità di fare pressioni per favorire programmi che includano le donne sieropositive e che offrano un aiuto più specifico, affrontando la grave infezione, l’ingiustizia sociale e l’emarginazione economica.

Sneha Samaj, nepalese sieropositiva, ha dichiarato: “La vita per le donne sieropositive è molto dura perché dobbiamo fronteggiare una doppia discriminazione: siamo donne e siamo anche infette. Possiamo sopravvivere solo costruendo la fiducia in noi stesse“. Samaj è stata abbandonata dalla famiglia dopo aver scoperto di essere stata contagiata e ha trovato rifugio in un centro di accoglienza gestito da suore, finché non ha incontrato Sumi Devkota, di Caram Nepal, organizzazione femminile per prostitute che hanno contratto il virus.

”Il nostro programma è stato studiato per aiutare le donne a capire che esiste una speranza e Sneha è stata la prima a parlare di ottimismo. Il suo coraggio l’ha aiutata nella cura e l’ha trasformata in paladina delle altre donne”, ha spiegato Devkota.

Gli esperti hanno sottolineato la condizione delle prostitute nepalesi che si stanno spostando verso l’India e altri paesi vicini, situazione che necessita di attenzione urgente.

Le statistiche raccolte dagli attivisti rivelano che il 60 per cento delle prostitute nepalesi di ritorno da Mumbai sono sieropositive; malgrado molte rappresentino la sola fonte di sostentamento per la famiglia, non ricevono alcun aiuto e, quando scoprono di essere sieropositive, vengono abbandonate dai loro congiunti.

Secondo gli esperti, è necessario proteggere anche le casalinghe asiatiche, ad alto rischio di contagio quando si trovano a lavorare in altri paesi.

I sondaggi rivelano che le donne impiegate nel lavoro domestico devono affrontare la discriminazione nei paesi di emigrazione, dove non sono tutelate dalla legge né hanno un’assicurazione sulla salute, e sono dunque estremamente vulnerabili all’abuso sessuale da parte dei datori di lavoro.

I dati dimostrano anche che le lavoratrici domestiche sole e lontane da casa conducono un’attività sessuale rischiosa – solo il 13 per cento dei lavoratori migranti filippini a Hong Kong usa il preservativo.

La presentazione di Pravina Gurung, esperta dell’Istituto per gli studi sullo sviluppo con sede in Nepal, si è concentrata sull’infezione da parte del coniuge, spiegando che ”le donne in Asia sono segregate e ricevono scarsa informazione sull’Hiv e su come proteggersi dal virus. Parlano di rado ai loro mariti dell’uso del preservativo, e non li interrogano sulla loro attività sessuale, anche quando si tratta di lavoratori migranti, per esempio camionisti“.

Nell’insieme, gli esperti hanno sottolineato che la miglior protezione consiste nel dare maggiore forza alle donne. Per farlo, è necessario che anche gli uomini vengano istruiti, soprattutto in società maschiliste come quelle asiatiche.

Amudha Hari, ginecologa indiana, ha spiegato che l’infezione all’interno di coppie sposate dimostra che l’Aids oggi ha raggiunto tutta la popolazione asiatica e segnala quanto critica sia la situazione che devono affrontare i paesi dell’Asia.

”La globalizzazione ha rapidamente mutato le società asiatiche e le pratiche sessuali delle donne single e lavoratrici. Una maggiore informazione e un atteggiamento aperto al dialogo sul sesso e sulla malattia sono oggi questioni di cruciale importanza per controllare la diffusione dell’Hiv”, ha concluso Hari.